L’atto di violenza e di terrorismo compiuto con viltà a Boston a danno di gente inerme colpisce tutti noi. Le maratone si sono affermate ormai come incontri vitali e gioiosi di persone comuni, proveniente da diverse parti del mondo e mosse da uno spirito non di competizione ma di reciproca conoscenza e di condivisione.
Vivere in pace, incontrarsi e misurarsi lealmente con altri, ricordare momenti positivi e particolari della propria vita sono cose che ognuno di noi vorrebbe fare. Per questo quell’atto è atroce, perché è rivolto alla gente comune con l’intento di trasformare la vita in morte, la gioia in paura, il ricordo in ferita che non si sana.
La solidarietà per le vittime e per le loro famiglie, per i feriti e per coloro che porteranno sul loro corpo i segni di questo attentato è il primo dovere. Ma non basta. Se l’obiettivo degli stragisti e alimentare le paure, far rinchiudere le persone nel loro privato, discreditare il prestigio degli stati democratici e delle loro istituzioni, allora è necessario anche resistere, ricacciare indietro i portatori di morte, affermare la volontà di continuare a vivere la quotidianità con il coraggio non degli eroi ma delle persone normali.
E’ il momento di essere uniti e di dimostrare che la democrazia, anche se può incontrare pause e fatiche, è più forte, ed è l’unica condizione nella quale VOGLIAMO vivere e operare.