Repubblica ieri, oggi e…: il mio ultimo articolo per America Oggi

Credibilità delle istituzioni e consenso democratico al banco di prova della riforma costituzionale: rispetto delle tradizioni e rinnovamento

Le celebrazioni, si sa, soprattutto se ufficiali, hanno tutte un pregio e un difetto. Il pregio di richiamare all’attenzione vicende che altrimenti sarebbero soggette inevitabilmente all’usura della memoria. Il difetto di portarsi dietro un qualcosa di convenzionale e di essere legate ad una giornata o ad un evento, il che facilita, se non la rimozione, il voltar subito pagina. A questa regola, tuttavia, credo possa sfuggire la commemorazione della Repubblica italiana, intanto per il fatto che, cadendo quest’anno il settantesimo anniversario del referendum istituzionale su monarchia o repubblica, l’avvenimento cade in un clima di attenzione particolare. Ma c’è qualcosa di più sostanziale, che ho potuto toccare con mano in questi giorni partecipando personalmente, nella ripartizione del Nord e Centro America, a diverse feste per la Repubblica che le nostre rappresentanze hanno organizzato con la partecipazione di Com.It.Es e associazioni. Ancora una volta si sono manifestati, in modo anche più forte, il nostro profondo legame con l’Italia e l’adesione convinta ai principi di libertà e di democrazia che sono alla base della Repubblica.

Voglio ricordare che proprio gli italiani che si erano insediati nelle Americhe, dopo l’iniziale simpatia per il fascismo, stimolata dall’intensa propaganda del regime, dopo l’invasione dell’Etiopia e ancor più dopo la scesa in campo a fianco della Germania hitleriana nella seconda guerra mondiale furono sempre più emarginati dall’opinione pubblica e dai governi locali, e molti subirono ingiustamente addirittura il carcere, come in USA e Canada, e l’esproprio dei beni, come in Brasile. Il ritorno alla vita democratica che il referendum istituzionale di settant’anni fa ha segnato e alla quale la Costituzione ha dato forma, ha significato per gli italiani all’estero anche la riconciliazione civile con i Paesi nei quali hanno trapiantato la loro vita. Grazie anche al contributo che tanti loro giovani discendenti hanno dato nelle file degli eserciti alleati alla liberazione dell’Europa e dell’Italia dal nazi-fascismo.

Questo è dunque il valore in più che la Repubblica ha per noi italiani all’estero. E questa è la ragione, non retorica o convenzionale, della saldatura attraverso la libertà e la democrazia tra la nuova Italia e il mondo occidentale, seconda patria di milioni di emigrati italiani divenuti via via protagonisti della vita sociale, civile, politica e culturale dei Paesi di approdo.

Consentitemi di dire, poi, che per noi donne italiane il referendum che ci ha donato la Repubblica è stato anche l’occasione per affermare finalmente la nostra libertà e la nostra eguaglianza. La democrazia in Italia non solo è rinata, ma si è compiuta con noi e per noi. Nella Repubblica, quindi, c’è anche, per la prima volta, il nostro voto, ma soprattutto c’è la nostra ansia di emancipazione, una tappa fondamentale del nostro cammino, che tuttavia resta ancora lungo e aperto verso un pieno riconoscimento di diritti.

La Repubblica, quindi, va amata, va ricordata, va celebrata, ma va anche custodita come un bene prezioso, assieme alla Costituzione che fu il frutto più maturo di quella Costituente liberamente eletta proprio in occasione del referendum.

Che significa custodire oggi la Repubblica? Certamente non significa averne cura come si fa con un bene archeologico, vale a dire proteggerla sotto una teca, lucidarla, esibirla. La Repubblica siamo noi, è la nostra vita, il sistema di relazioni sociali, il funzionamento delle istituzioni democratiche, gli intrecci internazionali del nostro Paese, il cammino che cerchiamo di fare, spesso con pesantezza e fatica, verso il futuro, evitando i rischi pur presenti di regressione. La Repubblica vive se si sostanzia dei problemi delle persone, se si dimostra capace di affrontare le vicende della società nazionale e del mondo, nel quale l’Italia deve segnare la sua presenza.

Ogni situazione aperta, dunque, è una prova, un’inappellabile verifica della solidità dei suoi principi, della validità delle sue istituzioni, della capacità di adattamento al nuovo, dell’adeguatezza della sua classe dirigente, non solo politica ma anche economica e culturale.

La prova più grande, oggi, è quella della pace e della sicurezza internazionale. Mi riferisco alla necessità non solo di spegnere le decine di guerre che avvampano in varie parti del mondo e di fronteggiare il terrorismo internazionale, ma anche di costruire un sistema civile e compatibile di accoglienza per i milioni di migranti che si muovono per necessità, inarrestabilmente, tra le aree del globo. Su questo punto, ad esempio, si giocherà molto del futuro dell’Europa come organismo unitario, della sua coesione e della sua asserita civiltà. I principi di libertà, uguaglianza e solidarietà che sono il fondamento della nostra Repubblica, restano l’humus più fecondo per alimentare e ispirare politiche e azioni all’altezza di problemi così gravi.

Un secondo impegnativo banco di prova restano le politiche sociali e, in particolare, il modo in cui oggi si corrisponde al diritto al lavoro, per molti ancora inappagato. “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”: sono le prime parole della Costituzione. Il Governo sta facendo grandi sforzi, con interventi e riforme di sistema, per sostenere e consolidare la ripresa economica dopo anni durissimi. Ma è necessario che, all’unisono, ogni componente del sistema economico e sociale faccia la sua parte. Anche in questo caso, gli italiani all’estero sono l’elemento in più dell’Italia per la rete di disponibilità e solidarietà che di fatto hanno realizzato nel mondo a favore del Paese e dei suoi protagonisti internazionali. Non saremo noi, figli di emigrati italiani, a scandalizzarci che i giovani cerchino anche oltre i confini la loro realizzazione professionale e di vita. E tuttavia, è indispensabile che partire dall’Italia sia sempre più una scelta e sempre meno una irrimediabile necessità. Anche se ci vorrà ancora molto perché succeda realmente, questo deve essere l’obiettivo costante della classi dirigenti.

Oggi, infine, un banco di prova non meno difficile per la Repubblica è la credibilità delle istituzioni e il consenso democratico. Come in altri momenti difficili della storia del mondo e della storia nazionale, l’oscurarsi dell’orizzonte internazionale e la crisi economica e sociale hanno logorato il legame tra cittadini e stato, tra partecipazione e democrazia. Guai a restare fermi, ad aspettare che “passi la nottata”, come diceva Eduardo. Tra qualche mese, come cittadini, ci troveremo a decidere se approvare o meno la più grande riforma costituzionale mai realizzata da quando esiste la Repubblica. C’è chi strepita perché si è messo mano alla Costituzione, sia pure nella parte organizzativa, non in quella dei principi, che sono intangibili e tali devono restare. La Costituzione finora è già stata cambiata molte decine di volte. Non saremo proprio noi italiani all’estero a lagnarcene, visto che abbiamo insistentemente richiesto e ottenuto di cambiarla per inserirvi la circoscrizione Estero.

Comunque, non parleremo oggi nel merito della scelta che dovremo fare nel referendum confermativo di ottobre. È bene che in questa occasione parliamo delle cose che uniscono e non di quelle che possono dividere. Mi limito dunque a dire che adeguare i nostri strumenti ai tempi che cambiano e renderli più efficaci per affrontare i problemi aperti nella società e nel mondo, perseguire l’idea di istituzioni più sobrie, veloci e moderne, significa non allontanarsi dalla tradizione democratica di questi settant’anni, ma rinnovare un atto d’amore verso la Repubblica, che rappresenta il nostro orizzonte morale e civile.